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atto terzo | 151 |
ferro, che non mai piegaronsi che sull’arcione, s’inchinino come quelli del miserabile che ha ricevuta l’elemosina. — No, nol farò; o convien che abiuri la mia fedeltà all’onore, o che coi moti e le attitudini del mio corpo insegni all’anima mia la più insigne, la più inesplicabile delle vilezze.
Vol. Ebbene, come vuoi. Più disonorante è per tua madre il supplicarti, che per te nol sia il supplicare il popolo. Vada tutto in rovina: a tua madre più piace di avere un rifiuto dal tuo orgoglio, che di mostrarsi tremante delle conseguenze della tua pericolosa inflessibilità; perocchè io disprezzo la morte con cuore superbo al par del tuo. Fa ciò che meglio stimi. Il tuo valore procede da me: tu col mio latte il succhiasti; ma conserva, il tuo orgoglio; ei non deriva che dal tuo cuore.
Marz. Ve ne prego, calmatevi, madre mia: andrò alla piazza. Non m’opprimete coi vostri rimproveri. Sì, andrò sopra i trespidi a mendicare la grazia del popolo, a guadagnarne i cuori con basse lusingherie; e tornerò da voi delizia di tutti gli scioperati di Roma. Vedete, io vo. Salutate la mia sposa. Io tornerò console; o non credete omai più ai talenti e agli sforzi della mia lingua nell’arte delle adulazioni.
Vol. Fa il senno tuo. (esce)
Com. Venite: i tribuni vi aspettano. Armatevi di moderazione per rispondere con dolcezza; perocchè, da quello che intesi, essi stan preparando contro di voi accuse più gravi di quelle che v’hanno già apposte.
Marz. La mia parola è moderazione. Pregovi, andianne: m’accusino a loro talento con tutta l’arte della frode; io loro risponderò con quanta franchezza sa dispiegare l’onore.
Men. Sì, ma dolcemente.
Marz. Teneramente ancora, se così volete. (escono)
SCENA III.
Il Fôro.
Entrano Sicinio e Bruto.
Br. Accusatelo d’aspirare alla tirannide. S’ei ci sfugge da questo lato, rimproverategli l’odio che ha contro il popolo, e il non essersi mai distribuite le spoglie degli Anziati. — (entra un Edile) Ebbene, verrà?
Ed. Ei viene.