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150 | coriolano |
chè la vera eloquenza col popolo sta più nei gesti che nelle parole), e colla mano atteggiati ad un movimento dolce, che corregga e smentisca l’inflessibile tuo cuore: umile e arrendevole come il frutto maturo, il quale cede alla mano che lo tocca, mostrati innanzi a loro, e di’ che sei quel guerriero che per essi versò il proprio sangue, e che, nudrito fra il tumulto dei campi, non conosci gli insinuanti modi che sai necessari per ottenere il loro favore; ma che farai opera all’avvenire per formare il tuo carattere quale ad essi meglio talenti.
Men. Fate quel ch’ella dice, e tutti i cuori diverran vostri; perocchè sì facili essi sono a perdonare allorchè vengono pregati, quanto sono a spacciare parole senza ragione e senza scopo.
Vol. Te ne scongiuro, va, e sii docile. Io ben lo so, che meglio ameresti scendere col tuo nemico in un burrone infuocato, che adularlo sopra uno strato di fiori. Ecco Cominio.
(entra Cominio)
Com. Riedo dal fôro. È necessario o che v’afforziate, o che cerchiate la vostra difesa nella moderazione o nell’esilio. Il popolo è pieno di furore.
Men. Un’arringa lo calmerà.
Com. Io pur lo credo, se Coriolano vuol pronunziarla.
Vol. Ei lo debbe, e vorrà. Ti prego, mio figlio, di’ che acconsenti, e va a proferirla.
Marz. Dovrò io dunque mostrar loro così la mia calva testa? dovrà la mia lingua smentire vilmente il mio cuore? Ebbene, sia; lo farò. Nullameno, se null’altro si dovesse sagrificar che questo corpo di Marzio, vorrei piuttosto che lo facessero in polvere, e quella gittassero ai venti. Al foro, diceste? Ah! m’avete affidata una parte che non saprò mai recitar bene.
Com. Venite, venite; vi aiuteremo.
Vol. Vieni; ti prego, dolce figlio. Dicesti che le mie lodi t’aveano fatto guerriero; ora, per ottenere da me altre lodi, compi una parte che non avevi per anche fatta.
Marz. Proverò! — Esci dal mio seno, anima nobile e fiera, e cedi il posto allo spirito lasso e versatile di una cortigiana. La mia voce maschia e guerriera, che intronava gli eserciti, divenga debole e tremante come quella di un eunuco, o come la voce di giovinetta che addorme in culla il bambino. Il ghigno degli scellerati ipocriti solchi le mie guancie, e le lagrime dell’imbelle fanciullo m’intenebrino la vista. La lingua supplichevole del mendico guizzi fra le mie labbra; e i miei ginocchi, coperti di