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ATTO TERZO
SCENA I.
Una strada.
Suon di corni. Entrano Coriolano, Menenio, Cominio, Tito Larzio, Senatori e Patrizi.
Marz. Tullo Aufidio ha posto in piedi un nuovo esercito?
Tit. Così ha fatto, signore; ed ecco ciò che ne fa affrettare il nostro trattato.
Marz. Dunque i Volsci sono tornati alla potenza di prima, e stanno parati ad invadere alla prima occasione il nostro territorio?
Com. Sono spossati, signore; e dubito che viver possiam tanto da rivederli a sventolare i loro vessilli.
Marz. Vedeste Aufidio?
Tit. Venne da me sotto fede d’un salvacondotto, e fulminò i Volsci d’imprecazioni per aver sì vilmente ceduta la città: poscia s’è ritirato ad Anzio.
Marz. Parlò di me?
Tit. Parlò.
Marz. E in quali sensi?
Tit. Disse che molte volte avea combattuto con voi; che alcuno non v’era sulla terra, ch’egli odiasse al pari di voi; che ceduto avrebbe di buon grado tutte le sue ricchezze per essere solo una volta chiamato vostro vincitore.
Marz. E ad Anzio fermò il suo soggiorno?
Tit. Ad Anzio.
Marz. Desidererei mi si presentasse opportunità per andarlovi a snidiare, e oppormi agli sforzi del suo furore. — Il benvenuto qui siete. (a Tito) Vedete! (entrano Bruto e Sicinio) ecco i tribuni del popolo; le lingue della bocca universale. Io disprezzo costoro, perchè afforzano la plebe d’un’autorità ch’è impossibile ai nobili di patire senza avvilimento.
Sic. Non procedete oltre.
Marz. Ah! che vuol dir ciò?
Br. Sarebbe pericoloso per voi l’andare più innanzi. Fermatevi.
Marz. Da che procede tal mutamento?
Men. Che ne fu causa?