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mi avessero obbliato, come obbliano le minacce che i nostri auguri fan loro in nome degli Dei.

Men. Voi rovinerete ogni cosa. Vi lascio; favellate con essi, ve ne prego, con dolcezza, con bontà, come n’avete d’uopo.

(esce; ed entrano due Cittadini)

Marz. Imponete loro di lavarsi il volto e i denti... Eccone una coppia. — Sapete voi perchè io mi stia qui?

Citt. Lo sappiamo, signore: diteci nondimeno quel che vi ci ha condotto.

Marz. Il mio merito.

Citt. Il vostro merito?

Marz. Sì, e non il mio volere.

Citt. Come! non il vostro volere?

Marz. No, messere; non fu mai piacer mio d’importunare il povero con inchieste.

Citt. Dovete pensare, che se qualche cosa v’accordiamo, è colla speranza di guadagnare col mezzo vostro.

Marz. Bene dunque, vi prego, a qual prezzo ponete il mio consolato?

Citt. Al prezzo di chiederlo cortesemente.

Marz. Cortesemente? Fate dunque ch’io l’abbia. Ho alcune ferite da mostrare, e che potrei farvi vedere particolarmente. Ebbene, datemi il vostro voto. Che rispondete?

Citt. L’avrete, degno signore.

Marz. È detto. Ecco due aurei voti... Ottenni la vostra limosina. Addio.

Citt. Ciò parmi strano.

Citt. Se dovessi dargli ancora il voto... ma non importa.

(escono; ed entrano due altri Cittadini)

Marz. Pregovi, se da voi dipende il mio consolato, vedete... indossai l’abito di costume.

Citt. Voi avete servito nobilmente il vostro paese, e non lo avete servito nobilmente.

Marz. Che è questo enimma?

Citt. Siete stato il flagello de’ suoi nemici, ma eziandio degli amici suoi. Mai non amaste il popolo.

Marz. Dovreste riputarmi tanto più virtuoso, quanto meno fui prodigo della mia amicizia; ma, poichè lo volete, e poichè questo vi piace, adulerò il popolo, e giurerò che i plebei li ho in conto di fratelli, onde ottener da essi maggiore stima; e poichè, nella saviezza loro, preferiscono la vuota formola d’un saluto ai veri sentimenti del cuore, simulerò quelle sembianze