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ATTO SECONDO




SCENA I.

Roma. — Una piazza pubblica.

Entrano Menenio, Sicinio e Bruto.

Men. L’augure mi disse che avremo novelle questa sera.

Br. Buone o ree?

Men. Poco propizie ai voti del popolo che non ama Marzio.

Sic. La natura insegna anche agli animali a conoscere gli amici.

Men. Qual è, vi prego, l’animale che il lupo preferisce?

Sic. L’agnello.

Men. Sì, per divorarlo; come i vostri plebei, sempre famelici, vorrebbero divorare il nobile Marzio.

Br. Marzio un agnello? Sia; ma egli ha l’urlo dell’orso feroce.

Men. Dell’orso? acconsento; ma d’orso che vive come agnello. Entrambi voi avete l’esperienza della vecchiezza; rispondete dunque ad una dimanda.

Sic. e Br. Fatela, signore.

Men. Di qual vizio offre egli una leggiera macchia, che in voi non si trovi in tutta la sua nerezza?

Br. Ei non è lordo d’una macchia sola, ma di tutte.

Sic. E specialmente di superbia.

Br. La sua estrema arroganza vince ogni altro suo difetto.

Men. Strano in verità! E voi, sapete voi in qual conto siate tenuti dalla città, intendo almeno da noi che ne componiamo la miglior parte?

Sic. e Br. Oh! e in qual conto?

Men. Poichè di superbia parlate, m’udirete senza collera?

Sic. e Br. Sì, sì, signore, sì.

Men. Nè io tengo in cale la vostra promessa, perchè so che alla prima opportunità scioglierete tutte le redini all’impazienza. Seguite dunque liberamente la vostra natura, e sdegnatevi finchè vi piacerà, se dallo sdegnarvi traete diletto. Voi date nota a Marzio d’arroganza?

Br. Nè siamo soli in accagionarlo di ciò.

Men. So che ben poche cose fate soli: so che siete abbonde-