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atto primo | 117 |
SCENA VII.
Le porte di Corioli.
Tito Larzio avendo posto presidio in Corioli, s’avvia al suono di musica militare verso Cominio e Caio Marzio; un luogotenente, una parte della soldatesca, e una spia.
Tit. Vegliate alla custodia delle porte; obbedite a’ miei comandi; stia ognuno al posto che gli assegnai. Alla mia prima chiamata parte di voi venga in nostro soccorso; il resto opporrà solo una breve resistenza: se non potremo mantenerci sul campo, meno lo potremo in città.
Luog. Fidatevi di noi, signore.
Tit. Rientrate, e chiudete dietro di noi le porte. Guida, innanzi; conducine all’esercito romano. (escono)
SCENA VIII.
Campo di battaglia fra i due eserciti.
Allarme. Entrano Marzio e Aufidio.
Marz. Te solo io vo’ combattere, perchè t’odio più che non odio chi viola le proprie promesse.
Auf. Del pari ci abboniamo: l’Africa non ha mostro che mi sia più esoso della tua gloria; io non posso sopportarla. Affrancati sui piedi.
Marz. Il primo che rinculerà muoia schiavo dell’altro; e gli Dei lo puniscano anche nella seconda vita!
Auf. Se mi vedi fuggir, Marzio, feriscimi come il timido daino che corre per la pianura.
Marz. Tullo, per tre ore ho combattuto solo fra le mura di Corioli, e sfogata v’ho la mia ira. Questo sangue, di cui mi vedi asperso, non è mio; per esorarlo invoca e spiega tutte le tue forze.
Auf. Fossi tu Ettore, quel folgore de’ vostri avi troiani, tanto esaltato in Roma, di qui non usciresti. (combattono, e parecchi Volsci accorrono in ajuto d’Aufidio) Ufficiosi e non prodi, voi m’avete coperto d’ignominia volendo secondarmi.
(escono combattendo, incalzati da Marzio)