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atto primo 113

bianze dell’uomo, come fuggir poteste dinanzi a schiavi che un esercito di scimmie avrebbe sbaragliato? Pluto e Inferno! tutti feriti di dietro! coi dorsi rossi e le faccie allibite volgere le calcagna così, sospinti da tanto timor febbrile! Riparate l’onta vostra; ite alla carica di nuovo; o, pei fuochi del cielo, io lascierò il nemico, e guerreggierò contro di voi: ve ne fo consci. Venite: se sarete fermi, li respingeremo sin fra le braccia delle loro mogli, concessi ne perseguirono fino alle nostre trincee. (altro allarme; si rinnova il combattimento; i Volsci fuggono in Corioli, e Marzio gl’insegue fino alle porte) Ora le porte si aprono, ora da generosi assecondatemi. È pei vincitori, non pei fuggiaschi, che la fortuna spalanca quelle porte: guardatemi, e imitate il mio esempio.

(s’avventa entro le porte, che si chiudono dietro di lui)

Sold. Pazzo ardire; nol seguirò.

Sold. Nè io tampoco.

Sold. Vedi, l’han chiuso dentro.     (l’allarme continua)

Tutti. Ei sarà morto; non se ne può dubitare.

(entra Tito Larzio)

Tit. Che avvenne di Marzio?

Tutti. Ucciso, signore, indubitatamente.

Sold. Inseguendo i fuggiaschi dappresso, entrò con loro nella città; le porte gli furon chiuse alle spalle; onde ei contende solo adesso contro un popolo intero.

Tit. Oh mio prode compagno, più prode dell’insensibile acciaio della tua spada! allorchè essa piega, tu resisti e trionfi. Tu fosti abbandonato, Marzio; un diamante della tua grandezza, sarebbe di minor prezzo di te. Guerriero sovrano eri, nè potevasene immaginare un più valente. Non coi soli colpi ti mostravi tremendo e formidabile; il tuo sguardo, il tuo solo sguardo, e il folgore della tua voce minacciante, sbaragliava il nemico, che fremeva come se inteso avesse vacillar la terra sotto i suoi piedi.

(rientra Marzio ferito e perseguitato dai nemici)

Sold. Guardate, signore.

Tit. È Marzio: corriamo a salvarlo, o a morir tutti con lui.

(combattono ed entrano nella città)