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atto primo | 111 |
Val. Vergogna! voi vi riducete a prigionia irragionevole. Venite, dovete visitar la buona signora che giace in letto.
Virg. Le auguro di guarire e la visiterò colle mie preghiere; ma non posso andare da lei.
Vol. Perchè? ve ne prego.
Virg. Non per pigrizia, o per mancanza di amore.
Val. Volete dunque essere un’altra Penelope? Nullameno e’ dicono che tutto lo stame che quella filò in assenza di Ulisse, non fece altro che empire Itaca di tignuole. Venite: io vorrei che la vostra tela fosse sensibile come il vostro dito, onde per compassione desisteste dal pungerla. Venite, venite con noi.
Virg. No, buona signora, perdonatemi: io non uscirò.
Val. Oh affè che uscirete! ed io vi darò eccellenti novelle del vostro sposo.
Virg. Cortese madonna, non ve ne può essere alcuna.
Val. In verità, io non celio con voi; giunsero novelle la scorsa notte.
Virg. In verità diceste?
Val. In pura verità; e udii un senatore che ne parlava. Ecco la voce corsa. I Volsci hanno un esercito in campo, contro cui Cominio è andato con una parte de’ suoi, mentre lo sposo vostro e Tito Larzio han posto assedio a Corioli. Essi stanno fidenti di quella espugnazione, che debbe abbreviar la guerra. — Questo è vero sul mio onore; onde, vi prego, uscite con noi.
Virg. Compatitemi, gentile signora, e credete che in ogni altra cosa v’obbedirò.
Vol. Lasciamola sola, madonna; tal quale ella è ora, varrebbe soltanto a intorbidare la nostra allegria.
Val. Così pure io credo... Addio dunque... Venite, signora... Pregoti, Virgilia, abbandona la tua tristezza, e vieni con noi.
Virg. No, in una parola, madonna, nol debbo. Vi desidero mille gioie.
Val. Bene, sta dunque; addio. (escono)
SCENA IV.
Dinnanzi a Corioli.
Entrano a suon di trombe e a vessilli inalberati Marzio, Tito Larzio, Uffiziali e soldati. A questi si fa incontro un Messaggiero.
Marz. Giungono novelle. Scommetto che i generali si sono abboccati.