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atto quarto 347


Desd. Oimè! qual peccato, senza avvedermene, ho mai commesso?

Ot. Dovea su questa fronte, su questa fronte celeste, scriversi la parola impudica? — Che commettesti?... Femmina impura! il solo racconto delle tue azioni infiammerebbe le mie guancie del rossor della vergogna, e spaventerebbe il pudore. — Che commettesti? il Cielo n’è inorridito; la Luna vela il suo disco per non rischiarar le tue colpe; l’Eco, forzata spesso a ripetere le invereconde grida della liscivia, nascondesi fra i burroni delle montagne, per tema d’intendere il nome del tuo delitto! — Che commettesti...! donna impudica!...

Desd. Sa il Cielo se voi mi fate ingiuria!

Ot. Non mi siete voi infedele?

Desd. No, come è vero che sono cristiana. Se conservarmi pura e casta allo sposo mio non è un essere infedele, io non sono tale.

Ot. Oh! non sei tu un’impudica?

Desd. No, per la mia salvazione!

Ot. Sarebbe possibile!

Desd. Oh! Iddio abbia pietà di noi!

Ot. Se così è, vi chiedo perdono. Vi aveva creduta quell’astuta cortigiana di Venezia che sposò Otello. (rientra Emilia) Voi, signora, che, anzichè aprir la porta dei cieli, come l’Apostolo, dischiudete quella dell’inferno... voi! voi! sì, voi!... Abbiamo di già compiuto il nostro ufficio: eccovi oro per l’opera vostra... Vi prego, girate la chiave nella porta, e serbate il segreto su questo nostro incontro.     (esce)

Emil. Oimè! come venne mai in tale sospetto? E voi, signora, che avete? oh mia buona signora!

Desd. In verità, sono mezzo assopita.

Emil. Dolce Desdemona, che cosa avete avuto col mio signore?

Desd. Con chi?

Emil. Col mio signore, madonna.

Desd. Chi è il tuo signore?

Emil. Quello che è anche il vostro, cara signora.

Desd. Io non ne ho alcuno... non parlarmi più, Emilia... non posso più piangere... nè risponder ti saprei altro che con lagrime. — Stanotte ti prego di porre sul mio letto le mie coltri da nozze... ricordalo... e fa venir qui il tuo sposo.

Emil. Oh mutamento fatale!     (esce)

Desd. Giusto era che così fossi rimeritata...! sì, giusto! —