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atto quarto | 345 |
Jago. Oimè! oimè! Mal si addirebbe il narrare ciò ch’io vidi e quello che so. Tenetelo d’occhio voi stesso, e giudicatelo dalle sue azioni.
Lod. Duolmi d’essermi tanto ingannato sul suo conto. (escono)
SCENA II.
Una stanza nella fortezza
Entrano Otello ed Emilia.
Ot. Nulla dunque vedeste?
Emil. E nulla udii, e nulla sospettai.
Ot. Sì, Cassio e lei, li avete veduti insieme.
Emil. Ma senza che male alcuno ne segnisse; e udiva ogni parola che fra loro correva.
Ot. Oh! forsechè non parlavano mai sommessamente?
Emil. Mai, signore.
Ot. Nè mai vi hanno fatta allontanare?...
Emil. Mai.
Ot. Affinchè recaste il ventaglio, i guanti, la maschera, o alcun’altra cosa?
Emil. Mai, signore.
Ot. Ciò mi sorprende.
Emil. Vi faccio fede, signore, ch’ella è fedele: ve lo giuro sulla mia vita. Ove nutriate altro pensiero, banditelo, ch’è ingiusto. E se qualche sciagurato vi avesse messo in capo sospetti, il Cielo ne lo rimeriti colla maledizione del serpente. Virtuosa, casta, sincera è, come la donna del più fortunato sposo della terra; e accanto a lei ogni altra femmina diviene impura come la calunnia.
Ot. Ditele che venga... andate... (Emilia esce) Con bastante estimazione costei ne favella; ma, vile mezzana, ogni sua parola è sospetta. Abile e scôrta è dessa; chè a parte essendo d’ogni più reo segreto, mostrasi pur sempre divota del Cielo, e si prostra ginocchione innanzi a Dio: più volte l’ho veduta sostenere la parte della ipocrita. (rientra Emilia con Desdemona)
Desd. Signore, che avete da impormi?
Ot. Di grazia, avvicinati, mia dolce amica.
Desd. Qual è il vostro desiderio?
Ot. Vedere i vostri occhi, guardarvi in viso.
Desd. Che orribile capriccio è mai questo?
Ot. (a Emilia) Ai vostri ufficii, signora... Lasciate soli gli amanti, e chiudete la porta... Tossite, o gridate hem! se qual-