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ATTO TERZO



SCENA I.

Dinanzi alla fortezza.

Entra Cassio con alcuni suonatori.

Cass. Signori, suonate qui: compenserò le vostre fatiche. Un concerto festivo per propiziare il mattino del Generale. (comincia una sinfonia; entra il Clown)

Cl. Che è questo, valentuomini? Apprendeste a suonare a Napoli, che traete voci tanto nasali?

Suon. Perchè, signore?

Cl. Perchè... Non sono cotesti istromenti da fiato, come solete chiamarli?

Suon. Sono.

Cl. Oh! se sono da fiato, spendete il vostro fiato in più degno esercizio. Gli accordi che cavate sono piuttosto bestiali che umani. Eccovi monete: andate a sbevazzare; chè il Generale gusta tanto la vostra musica, che vi prega a non volerlo fastidire con essa.

Suon. Bene; sarà fatto, signore.

Cl. E se avete una musica che, eseguita, alcuno (anche a voi vicinissimo) non l’oda, potete deliziarvene; ma di quella che dai presenti e dai lontani è intesa, il Generale non ne tien conto.

Suon. Musica che, eseguita, non s’oda da nessuno, non ne abbiamo, signore.

Cl. Raccogliete allora i vostri arnesi, e itevene. Ite; svanite in aria: via di qui.     (i suonatori escono)

Cass. M’ascolterai tu, mio onesto amico?

Cl. No, non ascolto il vostro onesto amico; ascolto voi.

Cass. A parte le tue sottigliezze; e prendi questa moneta. Se la gentildonna che accompagna la sposa del Generale è alzata, dille che Cassio le chiede per favore di favellarle. Vuoi compiacermi?

Cl. Ella è alzata, signore, se di essere coricata per voi non le piacesse: onde le farò l’ambasciata.     (esce)

Cass. Mio buon amico, (entra Jago) A tempo giungi, Jago.

Jago. Non andaste a letto stanotte?