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298 | otello |
confessa d’essere stata a parte d’un tal fallo, cada su di me la distruzione, se i miei ingiusti rimproveri saran più diretti a lui — Avvicinatevi, gentile fanciulla; e ditene a chi fra di noi qui raccolti dovete obbedienza.
Desd. Mio nobile padre, veggo che la mia sommessione ha da essere qui divisa: a voi debbo la vita e l’educazione; e l’educazione e la vita che da voi ricevei m’insegnano a riverirvi. Sottomessa fin qui ai doveri di figlia, vidi in voi il mio signore; ma ecco adesso il mio sposo. Mia madre abbandonò per voi il padre suo. La stessa obbedienza ch’ella vi rese, io debbo e dimando che ad esempio suo, concesso mi sia di rendere al Moro mio signore.
Brab. Dio sia con voi!... Non mi resta altro da dire. — Passiamo, signori, se vi piace, alla cosa pubblica. — Meglio sarebbe stato che avessi adottato un fanciullo, piuttostochè darle la vita. — Moro, avvicinati: di tutto cuore ti cedo questa creatura, che vorrei... ma già la possiedi... che di tutto cuore vorrei poter da te riscattare. — Quanto a voi, tesoro di saviezza, voi mi fate sentir la gioia di non aver altri figli. La vostra evasione m’avrebbe insegnato a tenerli, da tiranno, fra catene di ferro. Ho finito, signore.
Doge. Permettetemi di parlar per voi; lasciate che vi ricordi una verità fatta per aprire il vostro cuore alla clemenza, e ricondurlo verso questi due amanti. Allorchè tentati si sono tutti i ripari, e che sull’anima è caduto il fatal colpo, che la speranza teneva ancora sospeso, tutti i dolori sono finiti. Deplorare una sventura che passò, è mezzo sicuro a rinnovarsela perpetuamente. Tolto n’è di possedere un bene, di cui la fortuna ci spoglia? Se abbiamo virtù, riderem dell’insulto della fortuna. L’uomo che vede con fronte serena rapirsi il suo tesoro, ne conserva nell’anima uno ben maggiore, e delude il rapitore; ma quegli che si consuma fra inutili lamenti, quegli solo ruba a sè parte di se stesso.
Brab. Oh sì veramente! Lasciamo che il Turco ne tolga Cipro, e perduto non l’avremo finchè rimarranno serene le nostre fronti. Questi precetti si possono udire quando la sola pena che se n’ha, sta nell’ascoltarli; ma si raddoppia il fardello dei dolori nel doverli intendere con pazienza, mentre il cuore dà sangue. Tutte queste massime, applicate, ed egualmente forti, in senso contrario, sono volta a volta balsamo e fele alla piaga; ma le parole non sono che parole, nè mai udii che il cuore mortalmente ferito fosse sanato dall’orecchio. — Ve ne scongiuro perciò: ventiliamo le cose dello Stato.