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atto quinto 281


Prosp. Ed è così deforme ne’ costumi, come nella persona. — Malvagio, prendi i tuoi compagni con te, ed entra nella mia grotta. Se ti sta a cuore di ottenere il mio perdono, adornala con amore.

Cal. Obbedirò; diverrò saggio, e intercederò perdono. Qual goffo ciuco m’era io, scambiando un ubbriaco in un nume, e adorando un simil pazzo!

Prosp. Va dunque; lungi di qui.

Al. Ite, e rimettete queste spoglie dove le trovaste.

Seb. meglio ancora, dove le avete rubate.

(escono Caliban, Stefano e Trìnculo)

Prosp. Ora, Sire, invito Vostra Altezza e il vostro seguito a venire a riposarsi nella mia povera cella. Solo questa notte dimorerete in essa, e io impiegherò una parte del tempo nel racconto che voglio farvi, e che sono certo ne precipiterà il corso. Ivi io vi narrerò l’istoria della mia vita e delle mie vicissitudini in quest’isola, finchè, spuntata in cielo l’aurora, verrò ad accompagnarvi al vostro vascello, perchè facciam vela insieme verso Napoli, dove, spero, vedrem celebrate le nozze dei diletti nostri figli. Ciò fatto, me n’andrò alla mia Milano; e là il terzo de’ miei pensieri sarà quello del sepolcro.

Al. Ardo del desiderio d’intendere la narrazione delle vostre avventure. L’orecchio la debbe divorare con avidità.

Prosp. Non ometterò nulla; e dimani vi prometto placido il mare e propizii i venti; e questi enfieranno con tal benigna costanza le vostre vele, che la nave su cui sarete capitanerà ben da lungi tutte le altre. Governa le brezze, mio dolce Ariele; è questo il carico tuo. (a parte) Torna quindi a’ tuoi elementi; sii libero, e vivi felice! — Piacciavi, signori, di venir con me. (escono)

Epilogo proferito da Prospero.

«Ora tutti i miei incantesimi son rotti, e limitato mi trovo alle mie sole forze, che, oimè! sono ben deboli. Ora è in poter vostro o il condannarmi a viver perpetuamente in quest’isola, o l’inviarmi a Napoli. Ah! poichè ho ricuperato il mio ducato, e seppi perdonar a’ miei traditori, non vogliate ch’io rimanga su questo lido deserto incatenatovi dal vostro potere. Secondatemi invece con mano soccorritrice, e scioglietemi da’ miei ceppi: mestieri è che l’alito vostro spiri favorevole al mio corso, o il mio disegno fu vano; il mio disegno che altro non era che quello di piacervi. Intanto più non ho nè Genii per afforzarmi nella mia debolezza,