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280 la tempesta

voi solo, onde approviate la mia prudenza, il filo di tutti questi avvenimenti. Infino a quell’ora siate tranquillo, e credete che tutta è bene. Avvicinati, spirito: (a parte) sciogli Caliban e i suoi compagni da’ miei incanti. (Ariele esce) Ebbene, qual è il vostro stato, Sire? Qui manca ancora alcuno dei vostri, che dimenticaste.

(rientra Ariele, conducendo Caliban, Stefano e Trìnculo vestiti degli abiti che avevano rubato)

Stef. Ognuno s’adopri per la salute altrui, senza curar la propria; perocchè tutto non è che fortuna in questa vita. — Coraggio, orrido mostro, coraggio!

Trìnc. Se le due spie che porto in testa non m’illudono, ecco una vaga apparizione!

Cal. O Setebos! quai pellegrini spirti! quanto bello è il mio signore! Io temo non voglia castigarmi.

Seb. Ah! ah! quali cose son queste, messer Antonio? Forsechè con oro si potrebbero acquistare?

Ant. Lo credo; e l’un d’essi è un mostro marino da vendersi, non v’ha dubbio, in giorno di fiera.

Prosp. Signori, osservate questi uomini e le loro spoglie, e giudicate se son onesti. Questo schiavo deforme ebbe a madre una strega sì potente, che poteva arrestar la luna nel suo corso, innalzare ed abbassar le maree, ed esercitare tutti gl’imperi di quella, senza partecipare alla sua essenza. Or questo mezzo demone, il quale altro non è che uno spurio rinnegato dell’Inferno, insieme con costoro avea macchinato per togliermi la vita. Dei tre, due sono che dovete riconoscer per sudditi vostri. Quanto a questo parto di tenebre, confesso che io sono il suo signore.

Cal. Sarò martoriato di punture fino a morirne.

Al. Non è quegli Stefano, il mio sempre ebbro dispensiere?

Seb. Sì; nè ha difetto d’ebbrezza. Ove trovò il vino?

Al. Trìnculo pure vacilla. Ma come ottennero il potente specifico che li ha coloriti così? Di’, (a Trìnculo) che ti fece assumere queste sembianze?

Trìnc. Oh fu ben tremendo lo stato per cui passai dacchè non vi ho veduto! e temo che l’ossa mie non ne serbino memoria per tutta la vita. Aimè, aimè! io non temerò più le vespe.

Seb. Oh! e tu, Stefano, che hai?

Stef. Allontanatevi; io non sono Stefano, ma un incubo.

Prosp. Miserabile, non volevi tu divenir re di quest’isola?

Stef. Re ben infermo ne sarei diventato.

Al. Quest’è la cosa più strana che mai gli occhi miei vedessero.               (guardando Caliban)