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atto quarto 271

l’uomo, han drizzate le orecchie, arrovellati gli occhi, e fiutato l’aere, quasi per respirare l’odor della musica. Ho quindi talmente allettato i loro timpani, che, a guisa della giovenca chiamata dalla madre, han seguite le mie melodie fra dumi e dirupi, coprendosi, per ciò fare, di punture e di sangue. Infine me ne son diviso al verde stagno che è al di là della tua grotta, co’ piedi impacciati nella melma, e contr’esso lottanti con ogni forza.

Prosp. Ben facesti, mio Ariele1: conserva ora la tua forma invisibile, e va a raccogliere nella mia grotta quei vani addobbi, e qui li porta; è l’esca a cui prenderò i traditori.

Ar. Vado, e in breve tornerò.                                   (esce)

Prosp. Un demone, sì, un demone, una natura indomabile, per la quale ogni educazione va deserta d’effetto. Tante cure gli prodigai, tanti pensieri ebbi per lui; inutilmente! E come il suo corpo divien più deforme cogli anni, così l’anima sua s’invilisce e deteriora. Vo’ castigarli tutti, sino a farli ruggir d’ambascia. (rientra Ariele con ricche vestimenta) Va; ordina il tutto su quella fune. (Prospero è invisibile; Ariele dispone gli abiti sopra una corda tesa; entrano Caliban, Stefano e Trìnculo, tutti sordidi di fango)

Cal. Te ne prego; cammina con piè sì leggiero, che la cieca talpa non possa udire dove la tua pianta si posi. Siam vicini alla sua caverna.

Stef. Mostro, il tuo Silfo, che dicevi Silfo senza malizia, non ne ha trattati meglio, che se fosse stato un folletto dei campi.

Trìnc. Mostro, vo sentendo esalazioni pestifere, di cui il mio olfatto assai si sdegna.

Stef. E il mio ancor se ne cruccia. Odi tu ciò, mostro? E se il mal talento mi prendesse contro di te, pensi tu...

Trìnc. Saresti allora un mostro perduto.

Cal. Mio buon principe, conservami sempre nella tua grazia. Sii paziente; e il tesoro a cui ti son guida, ti consolerà d’ogni disagio patito. Parla sommesso, che tutto tace ancora qui, come se fosse mezzanotte.

Trìnc. Sì; ma l’aver perduti i nostri otri nel pantano...

Stef. È cosa non solo di onta e di disonore, ma d’immenso danno.

Trìnc. E ciò mi sta più a cuore che quel gelido bagno. Fu nondimeno il vostro innocente Silfo, mostro...

Stef. Vo’ ripescar il mio otre, dovessi pure infangarmi sino agli occhi.

  1. Il testo ha my bird, mio uccello.