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atto primo | 241 |
dre raccogliesse da infetta palude colla penna d’un corvo! il soffio pestilenziale delle valli vi spiri addosso, e vi dissecchi come scheletri per tutto il corpo!
Prosp. Va; e per quest’augurio preparati a soffrire i dolori dell’incúbo, che questa notte t’investirà. Sentirai allora i tuoi fianchi trafitti da mille punture, che ti permetteranno a mala pena di respirare. Già gl’istrici aguzzano i loro dardi terribili, per meglio vibrarli in te durante le lunghe ore di questa notte. Vo’ che le tue piaghe sian fitte come i fori d’un’arnia, e ogni ferita più acuta di quella che fatta ti avesse il pungolo d’una vespa.
Cal. Mangierò senza lagnarmi al desco che mi apparecchi. Ma quest’isola è mia, e tu mi rubi quello che fu di mia madre. Allorchè venisti qui, mi soiavi, e mi porgevi le more bagnate nell’acqua, insegnandomi il nome del grande e del piccolo luminare, che bruciano dì e notte in cielo. In quel tempo io t’amai, e ti mostrai tutte le ricchezze del paese, le fresche sorgenti, i pozzi salati, i luoghi aridi, i fertili. Maledizione su di me per averlo fatto! Vipistrelli, rospi, serpi, e tutti gli altri malefizii di Sicora ti vengano addosso; poichè, di re ch’io era, m’hai fatto schiavo, e confinato nel duro antro d’uno scoglio, usurpandomi tutto il resto dell’isola.
Prosp. Servo impudente e mentitore, cui muove la sferza, non mai il beneficio, troppo umanamente ti trattai, ricettandoti nella mia caverna, infino a che ardisti attentare all’onor di mia figlia.
Cal. Oh! oh! così riescito fossi! così prevenuto non m’avessi! e popolata avrei questa isola di piccoli Calibani!
Prosp. Schiavo abborrito, in cui la bontà non può lasciar traccia; turpe sentina d’ogni più laido vizio, io ti commiserai. Assiduo intorno a te mi posi per insegnarti a parlare, assiduo diedi opera ad instruirti dei nomi delle cose. Selvaggio indomito, non manifestavi i tuoi bisogni che con grida feroci; ed io impressi alle tue idee un movimento che te li fece conoscere. Ma, qualunque studio in te ponessi, la tua vile natura lo corrompeva, e il fango di che sei composto deturpava i miei benefizi. Con giustizia fosti dunque ridotto in quello scoglio, e ben peggio meritavi d’una prigione.
Cal. Tu m’insegnasti un idioma; e tutto il profitto che ne ritraggo è di saperti maledire. La peste rossa ti colga per avermi insegnata la tua lingua.
Prosp. Generato dell’inferno, va, esci, e trovane combustibili; più gravi bisogne poscia ti aspettano. Tu ti ribelli, anima perversa? Se rifiuti o se fai fremendo quello ch’io ti comando,