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atto primo 235

redini del mio potente governo, mentr’io tutt’assorto nei misteri della scienza, intendeva a rimetterla in onore, egli, oh barbaro! profittando del mio viver solingo... ma tu non mi odi, Miranda?

Mir. Vi ascolto colla maggior attenzione.

Prosp. Dacchè quel perfido fu valente nell’arte d’accordar grazie o di rifiutarle, di deprimere i buoni e di esaltare i tristi, si fe’ intorno vasto circolo d’adulatori, e divenne l’edera che tappezza la pianta, e ne simula la verzura. Così s’elevò sulla testa del suo principe assente... Ma il tuo pensiero è con me?

Mir. Oh quale istoria!

Prosp. Propenso per la solitudine e per l’opera del mio perfezionamento, bisogna ben di maggior pregio di quante piaciono al vulgo (se pur tal vita solitaria può perdonarsi ad un sovrano) sprezzando le grandezze terrestri, svegliai nel traditore malvagi appetiti; e la mia confidenza, qual madre d’infausta prole, non ingenerò nel suo cuore che turpitudine e crudeltà. Venuto in possesso degli annui miei redditi, e della mia potestà d’impor taglie e balzelli, simile a quei mentitori che col lungo ripetere una menzogna corrompono sì fattamente la propria memoria da venire in credenza esser quella verità, ei riputossi duca di Milano. In ciò lo confermò poscia e l’abito del comandare, e l’inceder splendente di tutte le mostre della maestà regia. Miranda, ascolti?

Mir. Il vostro racconto, signore, cattiverebbe l’orecchio più insensibile.

Prosp. Per colmar l’intervallo che separava ancora dalla persona del sovrano il suo simulacro, un titolo occorreva, quello di usurpatore. A questo con tutta l’anima intese; e vile, e consapevole della propria viltà, onde carpirlo fermò patti col re di Napoli; soggettò un libero ducato ad un esterno reame; tributario lo fece d’indipendente che era. Oh mia Milano, venuta sì in fondo.

Mir. Povero padre!

Prosp. Aguzza or ben l’ingegno sulle condizioni del trattato; e dimmi poscia se un tal uomo mi poteva esser fratello.

Mir. Indegnissima pianta di nobile seme!

Prosp. Eccoti i patti. Il re di Napoli, mio nemico inflessibile, accetta le proposte di mio fratello; e in ricompensa dell’omaggio di cui t’ho parlato, e di non so qual tributo, promette di spogliarmi insieme con mia figlia del mio trono, e si obbliga di porre il diadema sul capo di mio fratello. Con tale accorgimento un esercito ribelle è posto in piedi, e col favor delle tenebre in-