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atto primo | 233 |
Gonz. Oh! malgrado tutto, ei morrà sul patibolo; sebbene ogni onda a mo’ di voragine venga per ismentirmi, e sembri aprirsi per ingoiarlo. (un rumor confuso s’innalza dalla nave, e molte voci gridano: Miserere di noi! facciamo naufragio! addio, moglie! miei figli! fratello, addio! Oh! anneghiamo! anneghiamo!)
Ant. Moriam tutti col Re! (esce)
Seb. Diamogli il nostr’ultimo addio! (esce)
Gonz. Ora darei mille stadii di mare per un palmo di sterile terra, fosse pur coperta di dumi o di piante venifiche. Ma sian fatti i voleri del Cielo; sebbene più grato mi saria stato morire su men umido letto. (esce)
SCENA II.
L’isola; al dinnanzi la grotta di Prospero.
Entrano Prospero e Miranda.
Mir. Se foste voi, mio caro padre, che colla potenza della vostra arte eccitaste le acque a quell’orribile sollevamento, pacificatele, ve ne scongiuro. E’ pare che questo nero cielo verserebbe un torrente d’infiammato zolfo, se il mare salendo fino alle stelle non ispegnesse i suoi fuochi. Oh quanto soffersi veggendo soffrire quegli infelici! quanto nel vedere profondarsi sì nobile vascello, che senza dubbio ricettava ben più nobili creature! Ah! il grido del suo naufragio risuonava tuttavia nel mio cuore! Poveri sfortunati! e’ son periti! Perchè non ebb’io la potenza di un Dio per versar tutto il mare negli abissi della terra, primachè operata avesse tanta sciagura!
Prosp. Componiti a quiete, obblia terrori e maravaglie; di’ al pietoso tuo cuore, che nulla di sinistro accadde.
Mir. Oh dì nefando!
Prosp. Nulla d’infausto avvenne. Tutto ch’io feci, lo feci per la tenerezza che sento per te, mia figlia; per te, che l’essere tuo ancora ignori, non che il fianco da cui traesti la vita. Tu finora non vedesti nel padre tuo che il signore di una misera caverna, senza pur sospettare ch’ei derivar potesse da un sangue illustre.
Mir. Non mai il desiderio di saperne di più entrò in me.
Prosp. Ma è ben tempo ch’io di più ti dica. Dammi mano, e mi spoglia di questo magico vestimento... Così: (deponendo il mantello) posa quivi l’arte mia; e tu asciuga quegli occhi, e riconfortati. Il tremendo spettacolo che commosse l’anima tua virtuosa