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208 giulietta e romeo


Giul. Non mi calunnio, signore, dico solo il vero.

Par. La tua bellezza m’appartiene; e troppo la calunniasti.

Giul. Che v’appartenga, l’ignoro; ma che mia più non sia, lo so. — Reverendo padre, potete darmi udienza ora, o debbo tornar stassera?

Fr. Ora, se lo volete, mia povera fanciulla. — Messere, ne occorrerebbe di rimaner soli.

Par. Dio mi guardi dallo sturbare le vostre devozioni. Giulietta, giovedì vi sveglierò di buon’ora. Per adesso, addio: ricevete questo bacio.      (esce accompagnato da padre Lorenzo)

Giul. (al frate) Oh! chiudete la porta; e chiusa che l’abbiate, venite a pianger con me misera, infelicissima!     (il Frate ritorna)

Fr. Giulietta, ben conosco i vostri dolori; e son tali, che mi aggelano sul labbro ogni parola di consolazione. Seppi che giovedì dovete accoppiarvi al giovine Paride, e che nulla può differire tal matrimonio.

Giul. Ah! non dite così, uomo del Signore; non lo dite, poichè v’è nota la sventura che mi sta sopra, senza suggerirmi ancora il mezzo di evitarla. Se la vostra saggezza non trova soccorsi per me, approvate almeno la mia risoluzione, ch’è di trafiggermi il cuore con questo pugnale. Dio unì questo cuore con quello di Romeo; voi questa mano con quella di Romeo accoppiaste; e prima che stringer con essa un altro nodo, ho fermo nell’animo di darmi la morte. — Chiamate perciò tutte le potenze vostre a consiglio, traetene un sussidio per me in tanta estremità; o questo ferro, mediator sanguinoso fra me e le mie sventure, ne diverrà ancora l’arbitro supremo. Parlate; non indugiate a rispondermi: la morte mi sorride, se le vostre parole sono sconsolate d’ogni speranza.

Fr. Fermatevi, figliuola mia; veggo un baleno di luce: ma per irradiarsene occorre un’opera disperata. Se, prima che sposar Paride, vi sentite presta a darvi la morte per salvai vi dall’ignominia della rotta fede, è facile che abbiate anche la forza di tentar cosa che alla morte somiglia.

Giul. Oh! piuttosto che sposar Paride, ditemi di precipitarmi da quell’alta torre che ci sta davanti; incatenatemi piuttosto sulla cima di qualche montagna, dove gli orsi selvatici dimorino; chiudetemi la notte in un cimiterio, e copritemivi colle ossa degli estinti e coi loro cranii scarnati; comandatemi di entrare in una tomba novellamente aperta, e di avvilupparmivi col lenzuolo dell’estinto; imponetemi le più orride cose, il di cui solo nome mi abbia fatto fin qui fremere di spavento; e v’obbedirò senza in-