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prefazione 9

Ma sebbene a quegli scrittori io ricorressi con venerazione e dovessi ammirare ad ogn’istante la perspicacia colla quale aveano esplicati certi passi dell’autore che riterrebbersi di quasi impossibile intelligenza, alcuni altri di quelli pure mi sembravano rimasti in ombra o il senso me ne pareva travolto, e questi feci opera d’illustrare, sostituendo forse spesso errore ad errore, ma non senza esservi almeno determinato da qualche plausibile argomento; così ebbi ad abbattermi in iscene che i critici denunziavano intruse nei drammi da coloro che avean creduto veder lacune dove non erano per lo più che belle e artificiose sospensioni di affetti, e le tolsi riputandole non che altro un sacrilegio. La versione condussi in prosa, come in prosa era gran parte del testo; perchè impotente io a rendere le bellezze di armonia dolce o terribile che il verso presenta tutte le volte che la scena s’innalza a colloqui d’amore o trascorre in ire feroci, parvemi che nobilitando o lasciando umile l’altra, secondo che il metro e il tema portavano, io raggiungessi meglio il mio intento, e che in una traduzione (sopratutto da due lingue si disparate quali sono l’inglese e l’italiana) non siano le bellezze di suono e di ritmo che debbono rendersi, ciò che è impossibile, bensì le idee coi veri elementi di cui sono composte.

Espresso così brevemente al lettore in che modo m’invogliassi di questo lavoro e come lo conducessi, mi resta a dire che in questa edizione rifeci e ammendai molti errori corsi nella prima; e mi adoprai quanto più seppi affinchè ne rimanesse il minor numero possibile. Se troppo al disotto del concepimento sia restata l’opera, alla quale parecchi anni consacrai e in cui posi il mio miglior volere, è