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182 | giulietta e romeo |
SCENA IV.
Una strada.
Entrano Benvolio e Mercuzio.
Merc. Dove sarà Romeo? non rientrò in tutta la notte?
Benv. Suo padre mi disse del no.
Merc. Ah! senza dubbio cotesta pallida Rosalina, dal cuore insensibile, arriverà a fargli perdere la testa.
Benv. Tebaldo, cugino del vecchio Capuleto, ha mandata una lettera alla casa di suo padre.
Merc. Un cartello, affè di Dio.
Benv. Romeo ben vi risponderà.
Merc. Chiunque sa scrivere, sa rispondere ad una lettera.
Benv. Ma ei risponderà all’autor della lettera come si conviene.
Merc. Oimè! infelice Romeo! egli è già morto; morto trafitto dall’occhio nero d’una fanciulla bianca; trapassato di fibra in fibra da una canzone d’amore; forato in mille parti dai dardi del cieco Cupido! E tu vorresti che un tal uomo potesse far fronte a Tebaldo?
Benv. Perchè? chi è costui?
Merc. Un prode, un valoroso, se mai ne furono; uno schermitore da contender la palma al re dei gatti1; che si batte come tu canti un ritornello; che conserva tempo, misura e spazio come un oriuolo; e ti frange colla prima stoccata qualunque bottone dell’abito. Un duellista, un duellista, se mai alcuno ne visse, che para, mira, strafora colla rattezza del lampo. En garde! en garde!
Benv. Che vuoi tu dire?
Merc. Dico che il diavolo confonda coteste sciocche maniere venuteci di Francia, che fanno di uno schermitore un uomo generoso e prode. O avi miei, non è ella deplorabile cosa che le locuste dei paduli abbiano contaminate le messi de’ campi? E nondimeno non vedresti alcuno di costoro assidersi sopra un banco di antica fabbrica, senza che lo udissi gridare: Oh le mie ossa! le mie ossa! (entra Romeo)
Benv. Ecco Romeo.
- ↑ Vedi la storia di Renardo la Volpe.