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atto secondo | 179 |
Rom. È l’amor mio che proferì il mio nome? Oh come gli accenti d’un’amante risuonano dolci e chiari nel silenzio della notte! Di qual celeste melodia inebbriano l’orecchio che gli ascolta!
Giul. Romeo!
Rom. Giulietta!
Giul. A quale ora dimani manderò il mio messaggio a te?
Rom. Alle nove.
Giul. Non lo dimenticherò, sebbene per arrivarvi tanto tempo abbia a trascorrere... Ma perchè ti chiamai? Io più non me ne rammento.
Rom. Resterò qui finchè te ne sii ricordata.
Giul. L’obblierò sempre se ti vedrò vicino a me, e solo mi pascerò del piacere di contemplarti.
Rom. Ed io resterò teco per fartelo sempre obbliare, e obbliare vicino a te tutto l’universo.
Giul. Il giorno omai spunta... vorrei che tu fossi partito; ma che non fossi andato più lungi da me di quello che vada da un fanciullo l’animaletto ch’egli ha preso, e a cui talvolta allenta il laccio, senza però reciderlo; tanto il suo amore s’oppone alla di lui libertà.
Rom. Oh divenissi io l’augelletto prigioniero fra i lacci tuoi!
Giul. Lo divenissi! Io pure lo vorrei, mio amico; quantunque allora forse accader potrebbe che ti togliessi la vita colle troppe carezze. Addio, addio; e in quest’addio è infusa tanta dolcezza, che lo ripeterei finchè il mattino ne venisse a sorprendere.
(rientra)
Rom. Possa discendere il sonno su’ tuoi occhi, come la pace nel tuo cuore; e foss’io quel sonno e quella pace che riposano sovra sì care membra! — Ma tosto me ne voglio andare dal mio Padre Religioso per istruirlo della mia lieta ventura, e chiedere i suoi consigli. (esce)
SCENA III.
Cella di frate Lorenzo; al di fuori giardini pieni di piante aromatiche.
Entra il Frate con un canestro.
Fr. Il mattino dagli occhi grigi sorride fra le tenebre della notte; liste di luce cominciano ad imbiancare le nubi d’Oriente; la notte avviluppata nel negro suo manto fugge i raggi del dì, e come un ebbro vacilla, e si ritrae dinanzi alle infiammate ruote del sole. Prima che quest’astro mostri il suo occhio ar-