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166 giulietta e romeo


Nutr. In fede che potrei dirvi l’età sua senza fallare d’un’ora.

Don. Cap. Ella non ha ancora quattordici anni?

Nutr. Scommetterei quattordici de’ miei denti (e con dolore m’è pur forza il dire che non me ne rimangono che quattro), che ancora non gli ha. Quanto tempo correrà di qui all’agosto?

Don. Cap. Quindici giorni al più.

Nutr. Più o meno, che importa? In qualunque tempo venga il primo dì d’agosto, solo nella sera di quel dì ella avrà quattordici anni. Susanna e lei... Dio abbia in gloria le anime cristiane...! avevano l’istesso tempo. Ma Susanna è ora con Dio, perchè era troppo buona figliuola per poter vivere a lungo con me. Come dunque diceva, la sera del primo dì d’agosto Giulietta avrà quattordici anni: li avrà, ne son sicura; e me ne rammento a dovere. Son ora undici anni da che venne a farci ballare quel gran tremuoto, e la era di già svezzata: non mai lo scorderò. Di tutti i giorni dell’anno, fu appunto in quello che m’aspersi d’assenzio il seno stando assisa al sole davanti al colombaio, e guatando la strada che aveva condotto poco prima voi e Capuleto a Mantova. Oh memoria! oh buon cervello che è il mio! Come adunque diceva, da che la pargoletta ebbe gustato l’assenzio di cui m’era intriso il seno, e l’ebbe trovato amaro, le venne il mal talento, e cominciò a battermi la mammella. Ecco allora, ecco in quel punto istesso che il colombaio comincia a tremare, e noi tutti tremiamo. Che è? che mai è? Era il tremuoto. Oh! non fu mestieri, ve ne assicuro, di dirmi che fuggissi. Da quel tempo in qua sono scorsi undici anni, perchè ben rimembro che la piccina stava ritta sola, e poteva andare e correre e saltellare colle sue gambette, senza pericolo che incespicasse. Anzi una circostanza, che ora mi torna, è, che nella vigilia appunto di quel dì cadde e si scalfì la fronte; e allora mio marito, Dio sia con lui, che era uomo gioviale, rialzandola le disse: Ah! così boccone ti lasci cader per terra?

Don. Cap. Parmi ne abbiate detto abbastanza.

Nutr. Avete ragione, signora; ma non posso astenermi dal ridere.

Giul. Eh! taci omai, te ne prego, nutrice mia.

Nutr. Via, via, ho finito. Iddio ti suggelli colle sue grazie. Tu fosti la più vaga fanciulletta ch’io mai nutrissi; e se posso vivere abbastanza per vederti sposa, i miei desiderii saran paghi.

Don. Cap. Ed è appunto di maritaggio che venni a favellarle. — Dimmi, figlia mia, dimmi, Giulietta, come riguardi il matrimonio?