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atto quinto 151

nome in faccia ai nostri oppressori; sclamerò combattendo: Son figlio di Catone, nemico ai tiranni, e sol vago di patria.

(s’avventa fra i nemici)     

Br. Ed io, io son Bruto, Marco Bruto, l’amico del popolo. Oh! riconoscetemi per Bruto, e venite con me. (esce, caricando il nemico; Catone è sopraffatto dal numero, e cade)

Luc. Giovine e nobile Cato, tu pur cadesti! Tu pur glorioso muori, guai lo debbe uomo di tua stirpe.

(alcuni soldati circondano Lucilio)     

Sold. Arrenditi o più non sei.

Luc. Non m’arrendo che a patto d’essere ucciso. Prendi, eccoti oro; prendilo, e svenami sull’istante. Uccidi così Bruto, e renditi illustre colla sua morte.

Sold. Bruto! uccider noi dobbiamo; è troppo gran prigioniero.

Sold. Olà, olà, dite ad Antonio che Bruto è cattivo.

Sold. Io stesso glie ne dirò... Ma ecco appunto il duce. (entra Antonio) Bruto è preso, signore; Bruto è in poter nostro.

Ant. Dov’è?

Luc. In luogo sicuro, Antonio; e non mai, me ne fo garante, non mai Bruto sarà fatto prigione. Gli Dei lo preserveranno da tanta ignominia; e o più noi vedrai, o il vedrai solo nella sua grandezza.

Ant. Soldato, mal t’apponesti: costui non è Bruto; ma nobil preda è, nè a me meno cara. Custodisci questo Romano, e prodigagli ogni cura; perocchè, me ’l credi, meglio amerei aver per amici che per nemici uomini simili a questo. Ora scorrazzate voi altri per tutto il campo, per vedere se Bruto è spento, o se ancora respira; e venite ad avvertirmene poscia nella tenda d’Ottavio.

(escono)     


SCENA V.
Altra parte del campo.
Entrano Bruto, Dardanio, Clito, Stratone e Volunnio.

Br. Innoltrate, misere reliquie degli amici miei, e riposatevi su questa roccia.

Cl. Statilio ne mostrò da lungi la sua face accesa, e ancora non ritorna; per certo egli ancora rimase prigioniero o morto.

Br. Assiditi, Clito, assiditi al mio fianco. — Strage è la parola che or vola soltanto per tutte le bocche. — Odimi, Clito.

(favella sommesso)