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mava la di lui estradizione per sottoporlo a nuovo processo.

Alla Curia di Roma, non sembrava vero, di poter trovar un pretesto per aver nelle mani Giordano Bruno e farlo abiurare pubblicamente.

Il procuratore Federico Contarini, inviato da Roma, a nome del Santo Padre, davanti ai giudici veneti disse: «essere le colpe di Bruno gravissime in proposito di heresia, se bene per altro uno dei più eccellenti et rari ingegni che si possino desiderare et di esquisita dottrina et sapere. Che per essere questo caso principiato a Napoli et in Roma, onde par più spettante a quel fóro che a questo, et per la gravità estraordinaria delle colpe, aggiunto anche che egli è forestiero et non suddito, crederìa che fosse conveniente satisfare a Sua Santità, come anco altra volta s’è fatto in casi simiglianti.

E così avvenne che, per satisfare al Santo Padre, il povero Bruno, nel gennaio del 1593, fu tradotto dalle, carceri di Venezia a quelle di Ancona, e di là, sempre incatenato e scortato, come un infame delinquente, venne inviato alle carceri dell’Inquisizione di Roma, donde non doveva uscire che per ascendere al rogo.



Ben sette anni languì Giordano Bruno nelle carceri di Roma. Trascorsero sei anni prima che egli venisse processato, ed appare subito chiara l’idea, che il Santo Ufficio, con questa lunga prigionia, cercava infiacchire e spezzare la fibra del filosofo, per ottenerne una completa sottomissione.

Ma la Curia di Roma male aveva fatto i suoi cal-

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