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Egli, che ad onta delle lotte e delle animosità suscitate colle sue teorie, in tutti i paesi da lui percorsi aveva incontrato ospitalità, amici e protezioni, doveva trovare il suo Giuda proprio in questa Italia che amava tanto.



Il processo fu subito istruito. Quasi non bastasse la prima lettera, Giovanni Mocenigo, dopo la cattura di Bruno, invia una nuova denuncia aggravando a carico del maestro l’accusa di eresia.

«Tutto l’interrogatorio mostra che gli inquisitori non si fondarono sui libri presentati dal Mocenigo in appoggio alla sua denunzia, che anzi non si dettero nemmeno la pena di sfogliarli. Essi non avevano il menomo sentore della mente, del valore, della grandezza di colui che stava loro dinanzi.»

Bruno, fin da principio, risponde ai suoi giudici, narrando tutta la sua vita, espone con fermezza le sue teorie e respinge disdegnoso le delazioni de Mocenigo che egli accusa d’averlo assassinato nella vita, nell’onore, e nelle robe, carcerandolo nella sua casa propria.

Ma egli deve lottare col più terribile dei tribunali — l’Inquisizione. Tradito, arrestato quando meno se lo aspettava, quando respirava con gioia l’aria della sua Italia, quando la fama del suo nome incominciava a risuonare gloriosa, egli, per un momento, sentì affievolirsi quella fermezza, che era sempre stata la base prima del suo indomito carattere d’apostolo.

Accerchiato da mille tranelli, confinato in segrete tristi ed umide, privo d’aria e di luce, minacciato tutti