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egli scagliasi sugli avversari, e richiesto che sarebbe stato, se tutti gli altri filosofi fossero come lui così impetuosi, egli, con un sentimento d’alterezza, forse più ingenua che invereconda, risponde:

— «Questi altri filosofi non hanno ritrovato tanto, non hanno tanto da guardare, non hanno da difender tanto. Facilmente possono ancor essi tener a vile quella filosofia che non val nulla, o altra che val poco, o quella che non conoscono; ma colui che ha trovata la verità, ch’è un tesoro ascoso, acceso dalla beltà di quel volto divino, non meno diviene geloso, perchè la non sia defraudata, negletta e contaminata, che possa essere un altro sordido affetto sopra l’oro, carbuncolo o diamante o sopra una carogna di bellezza femminile.»

Egli vuole si tragga la verità dal baratro in cui giace, che la si proponga senza ambagi alla meditazione di tutti; che si dia lo sfratto alla filosofia volgare e sofistica, che domina nelle scuole; vuole, infine, che si mettano avanti pensamenti nuovi.

— La verità, egli esclama, è nel presente e nell’avvenire più che nel passato. — Questa antica dottrina, colla quale si cerca di combatterci non è altro che quella di Aristotile! Ora Aristotile è meno antico di Platone e Platone lo è meno di Pitagora. Aristotile non ha certo creduto a Platone sulla parola. Imitiamo adunque Aristotile diffidando di lui. Non vi sono opinioni tanto antiche, che non sieno state nuove in date epoche. Se l’età è la misuratrice del vero, il nostro secolo è migliore di quello di Aristotile, perchè oggi il mondo ha venti secoli di più.

Non lo impaurano le lotte; egli è deciso anche a procedere senza compagnia, amando meglio aver gloria senza regno davanti a Dio, che regno senza gloria davanti alla stoltissima moltitudine.