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ste, ci si assottigliano gli articoli, ci si ingrossono le gionture...»

Sotto la favola mitologica vi è la proclamazione della religione naturale e la negazione di tutte le religioni positive, che Bruno chiama al sindacato della ragione: Paganesimo, giudaismo, maomettismo e cristianesimo egli mette tutte in un fascio. Risuona in questo lavoro del Bruno, come una cupa voce che bandisce la caduta delle religioni, la cessazione del culto. Altari si innalzano, ma non più a santi e madonne, ma al nume universale che è la ragione.

Spira anche nel libro un principio di socialismo, là dove al Bruno pare strano che si possa usare in proprio delle cose, senza un’equa ripartizione.



Nel 1585 il Castelnuovo venne dal governo di Francia richiamato, e Bruno lo seguì, desideroso di riveder Parigi.

Appena giunto sulle rive della Senna, diede alle stampe altri suoi scritti, ma arso come era dal desiderio di divulgare le sue dottrine e di fare nuovi seguaci ritornò ancora una volta alla Sorbona, campo di passati suoi trionfi, e nella maturanza degli studii e delle esperienze fatte, volle assaltare apertamente Aristotile.

Egli presentò al Rettore della Sorbona 120 tesi contro la fisica dei peripatetici e 20 tesi pitagoriche e platoniche. E questo il periodo in cui Giordano Bruno, più che in ogni altro tempo, disputa e difende accanitamente le sue teorie.

Ripreso da alcuno pel soverchio impeto con cui