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Spesso, marito e serva, finivano coll’essere coinvolti nell’ira medesima.

C’era poi la Rosalia, che per l’istinto d’imitazione naturale nei bimbi, avea preso anche lei a perseguitare l’Agnese, appunto perchè la vedeva perseguitata. Le faceva sgarbi, dispetti: riferiva, e magari nel riferire inventava di suo, tutto ciò che poteva tirarle addosso una ramanzina, e le ripeteva, ciangottando, le parolacce e le ingiurie che sentiva dire dalla mamma. E costei, volendo mostrare alla fruttaiola, o ai professori, quando erano al Caffè d’Europa, l’intelligenza della sua creatura, usava domandarle, per giuoco:

«Che cos’è la Tata

— «Brutta bruttaccia!» rispondeva la Rosalia, facendo gli occhiacci.

— «Tesoro mio! Viscere mie care!» si metteva allora a gridare la Contessa, baciando e ribaciando la figliuola colla foga delle donne grasse che si sciolgono in tenerezze, e finiva poi sempre col farla piangere e strillare, infastidita da