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do, colle ali aperte, seguita sempre dall’occhio giallo, fisso del gatto, aggomitolato sulla panca.

La bimba, così sola, rideva, piangeva, si arrabbiava, si spaventava, poi, sola sola, tornava a confortarsi. Ma quando si faceva buio e Agnese non vedeva nella stanzaccia altro che gli occhi lucenti del gatto, essa cominciava a disperarsi e si metteva a piangere, a strillare e non si acquietava fino a tanto che un calcio del babbo e il fiato caldo di Parigi, il cane volpino, che veniva a leccarle il viso, non l’avvertivano del ritorno della famiglia. Allora essa correva a rifugiarsi accanto al camino e non si sentiva più neanche respirare.

La mamma non osava difenderla, perchè gliela avrebbero maltrattata peggio che mai; ma la cercava sempre con gli occhi pieni di tenerezza paurosa.

Era una donna alta e scarna, dal cui viso smunto traspariva una bellezza guasta ancor più dai patimenti che dagli anni; gli occhi esprimevano quella mestizia dolce e affettuosa,