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ma ricca di tutte le vitalità dell’avvenire e dei fermenti accumulati in quindici anni di lotte cui un genio precoce, Piero Gobetti, morto in esilio, aveva indicato le vie del riscatto con gli ideali dell’autonomia e della rivoluzione liberale operaia.

La terza pagina si apriva con l’editoriale: «Realismo ancora», bilancio freddo dell’oppositore che non vacilla. In esso si riconosceva il fatto della vittoria militare e della conseguente probabile vittoria diplomatica; si prevedeva una svolta nelle cose e nelle coscienze deboli, un periodo difficile nella lotta; si constatava la fine del vecchio antifascismo polemico, negativo, ombra del fascismo, trascinantesi nella speranza del miracolo capovolgitore; si riaffermava la funzione storica di una nuova opposizione che assumendo il fascismo a punto di partenza ed esperienza del secolo, si definisce in nome di principii autonomi e positivi, ossia di ideali, e guarda unicamente al futuro.

Per noi giellisti cotesti sono latinetti vecchi. Difatti il titolo recava: «Realismo ancora». Ma per certi zelanti fascisti convertiti, rimasti, quanto a opposizione, all’Aventino, tanta spregiudicatezza ha fatto impressione. Il 15 usciva il giornale. E il 15 pomeriggio l’articolo era telefonato a Roma.

Il «primo giornalista d’Italia» getta un’occhiata rapida sul testo. Il frenetico bisogno di estorcere consensi dovunque e comunque, lo induce a staccare, mutilandoli, due periodi del nostro articolo: il perio-


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