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andare nel paese. E a Roma, oltre Montecitorio, c’era San Lorenzo, dove il popolo si batteva; ma nessuno o quasi se ne ricordò in quei giorni. Come nessuno sentì che l’opporre in parlamento superbi squarci oratorii alle parole sprezzanti del «duce», era fare il suo giuoco.
L’Aventino.
Le elezioni dell’aprile 1924 avevano in parte corretto questo stato di cose. L’opposizione diventava per la prima volta opposizione, minoranza; come minoranza, avrebbe potuto darsi una psicologia virile, d’attacco. Ma aveva troppi ex nelle sue file, era troppo appesantita da uomini che avevano gustato le gioie del potere e della popolarità, che si erano fatti in tutt’altra atmosfera. Gli oratori più celebri, usi al successo in un parlamento in cui si trovavano come in famiglia, non resistevano all’ambiente nuovo e ostile creato dai fascisti. Erano depressi, stanchi, preoccupati; non avevano la psicologia dell’attacco ma della ritirata. Tornando ai collegi dopo dure battaglie parlamentari, si sorprendevano di trovare i giovani (ahimè, i rari giovani) in stato di eccitazione. Matteotti era un isolato. Quando terminò la sua improvvisata requisitoria alla Camera, un suo compagno (Baldesi) — morto poche settimane or sono in dignitoso silenzio — lo interpellò bruscamente: «Sicché tu ci vuoi tutti morti?»
Quando la crisi scoppiò, la depressione era al
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