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alla cui composizione le opposizioni non possono che rimanere estranee».
Come certificato d’impotenza non c’è male. L’Aventino, a cui i giovani chiedevano in quei giorni di rinnovare il mito della «Pallacorda» rivendicando di fronte alle masse il potere, l’Aventino invocava dal Re la dittatura dei generali. Continuò ad invocarla sempre, nell’ottobre, nel dicembre ’24, dopo il 3 gennaio con un machiavellico disinteresse; fino a che Mussolini, promulgate le leggi eccezionali, mise un bel generale, il Sanna, alla presidenza del Tribunale Speciale e si insediò al Ministero della guerra.
In verità l’opposizione era degna di perdere, di essere seppellita.
Più si studia la crisi Matteotti e più ci si convince che, se ebbe un immenso valore dal lato morale, non fu e non poteva rappresentare una crisi politica decisiva per l’antifascismo. Fu una crisi di trapasso e di liquidazione che scarnificò il fascismo rivelandone i metodi briganteschi e la sostanza di classe e obbligandolo a precipitare la dittatura, ma fu anche una crisi che mise in luce la tragica debolezza delle opposizioni ufficiali.
L’illusione dell’Aventino riposava sulla mancata coscienza della gravità della sconfitta subita dalle forze operaie tra il 1921-22, non solo in Italia ma in tutta Europa. Mancata coscienza non solo nei capi, ma nelle masse, e di tutti i partiti, comunista compreso.
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