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do marino. Un’ombra nera si profila, là a ottanta metri verso il porto. Cosa sarà? Non può essere, quello non è il luogo dell’appuntamento. Eppure il cuore ci dice che sono loro, che non possono essere che loro.

Il rumore si fa più distinto, ma ancora non riusciamo a vedere. Aggrappati alla roccia, fissiamo l’ombra fino ad incorporarvicisi. Lussu stende una mano, miracolo, ha trovato una lampadina. La lampadina dimenticata ieri sera sulla roccia. Facciamo segnali, l’ombra si muove, sì, sembra muoversi verso di noi, sono loro, sono loro, i nostri fratelli venuti a liberarci, presto presto. Via a nuoto, ogni tanto drizzando la testa per convincerci che non ci sbagliamo. Ma perdio, vanno alla deriva, verso il porto. Sulla piazzetta del porto c’è il «Signor Direttore» con tutte le autorità a sorbire il gelato. Gli amici tentano, invano, coi remi di contrastare la corrente. La deriva continua, non c’è tempo da perdere. In moto i motori sotto il naso dei miliziotti di guardia. Una corda gettata da bordo si impiglia nell’elica, cerco di salire con l’altra. «Issa», da bordo mi aiutano. Ci sono. Ci siamo. Nitti è là. Lussu non ha ancora scavalcato il bordo che chiede: «Avete armi?». Sì. Lussu sorride.

Il sorriso di Lussu ricorda stranamente Lenin.

Qualche sbuffo sordo, poi il motore riprende. Il rumore ci sembra enorme, tutti debbono sentire (lo sciacquìo era lieve come una carezza, stasera).

Un ultimo sguardo ansioso. Via, partiamo lenti e


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