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che Lussu suppone sia un pescatore. Gli pare una bellissima trovata dire ad alta voce, rivolto a Dolci: «Ma che pescione, ma che pescione!». E accompagna le parole con un largo gesto. Lussu, decisamente, non è un pescatore. E il suo accento non è liparuota. E il pescatore è un confinato. Ci lasciamo al primo vicolo. Gli amici sono impensieriti per il mio ritorno.

Prenderò la via dei campi.

Ma gli occhiali sono perduti, ma gli occhi sono pieni di sale. Non ci vedo.

Tiro via, incespicando spesso. Corro. Casco in pieno su una siepe di filo spinato. Quattro punte mi bucano sopracciglia e zigomi, e, mi pare, un occhio. Orgasmo. Sangue. Mi stropiccio per sapere se vedo. Vedo. Allora via. Nell’ultimo tratto infilo un viottolo. Una bambina guarda — spaventatissima — questo gigantesco coso bagnato. Entro in casa ansante. Corro allo specchio.

La faccia è tutta rossa di sangue. Ora capisco la paura della bambina.

Lavoro febbrile per nascondere i corpi del reato. Anche la carta di permanenza è ridotta a una poltiglia. Mi rivesto. Viene, dopo quindici minuti, la pattuglia.

La mattina dopo ci rivediamo. Come se le avessimo buscate. Lividi di qua, lividi di là. I miei occhi stanno bene, solo la cornea lievemente offesa. Il medico si congratula per il miracolo e crede a una avventura amorosa, mia moglie assente. Nonostante


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