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si parlò dell’Aventino e del Risorgimento. Nella seconda di fuga. Abbiamo poi sempre parlato di fuga, fino alla noia, fino alla reciproca esasperazione.
Fuga con variazioni, in tutti i tempi, passati, presenti, futuri, condizionali. Fughe in barca, in motoscafo, in piroscafo, in aeroplano, in dirigibile. Fuga, fuga, fuga. Ora, dietro consiglio di Turati, maestro di stile, abbiamo imparato a chiamarla «evasione». È più dignitoso. Ma allora la chiamavamo fuga.
Nitti e Dolci erano della partita.
Comunico a mia moglie la decisione. Trova naturalissimo. Sono io che non trovo naturale che trovi la cosa naturale. Il vecchio orgoglio maschile mi acceca: credo che lo spirito di avventura sia privilegio dei maschi. Dimentico sempre che in Inghilterra sono le donne a regnare.
Terzo tempo.
Il 17 novembre 1928 siamo stati in acqua venti minuti. Il giorno abbiamo disperatamente zappato il giardino per convincere amici e nemici della stabilità della nostra dimora. Per arrivare al luogo di appuntamento siamo costretti a scorticarci sugli scogli che affiorano. I sacchetti impermeabili coi vestiti si riempiono d’acqua. Fatica orribile, freddo birbone.
Quadro degli evadendi: Lussu, appollaiato su una roccia, con un binocolo. Esce da una pleurite ed è bagnatissimo. Con la sua prepotente fiducia dichiara di non sentir freddo: «Ho la maglia, ho la maglia»,
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