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governo». Al «suo» governo. Il possessivo è sottolineato aspramente.

Il brigadiere d’incanto si tace. Forse i distintivi delle medaglie che «noi» abbiamo pregato Parri di portare, hanno fatto il miracolo. Quei distintivi, che Parri chiama «chincaglierie» hanno già fatto abbassare gli occhi ai fascisti, sul piroscafo. Altra volta, in piena stazione di Roma, alle otto di sera, pensiline gremite, solcare la folla incatenati con un sorriso sardonico che è tutta una filosofia politica e un giudizio sul carattere italiano.

Finalmente si parte. La colonna marcia pesantissima.

Sbarco a Ustica. Un pugno di casette basse, bianchissime, arrampicate su una terra pietrosa e bruciata. Bellezza tragica e nuda; atmosfera greca, civiltà africana.

Cadono ferri e catene. Un po’ di massaggio ai polsi, formalità, saluti e poi via in ricognizione per i vicoli sporchi e animatissimi: maiali, galline, cani, pulcini, guardie, confinati, coatti. L’arca di Noè non doveva essere precisamente piacevole. Eppure, quale ebbrezza strana mi prende? Questo primo giorno di vita usticese è eccitante, mi pare d’essere nato una seconda volta.

Dopo una lunga prigione il primo giorno di confino è l’orgia, l’esplosione dell’«io» fisico.

Sì, lo so: tra otto giorni non sarà più così. Tra otto giorni sarà peggio forse che in prigione. Ma in-


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