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vere. Fino alla conoscenza di Parri, l’eroe mazziniano mi era parso astratto e retorico. Ora me lo vedo steso vicino, con tutto il dolore del mondo ma anche tutta la morale energia del mondo, incisa sul volto.

Anche Parri non può dormire. Le invernate in trincea lo fanno soffrire.

Domani, finalmente, arriveremo.

Domani no, stamani. Sono le due. La guardia dice: «Fuori con tutta la roba». Le valigie e i sacchi sono pronti, la coperta è piegata — questa cura nel piegare il cencio sconcio ha un sapore ironico — il gregge è pronto per uscire.

Sortiamo. Eterne formalità dei guardiani assonnati o esasperati. Arrivano i carabinieri. Otto. Il canto delle catene accompagna il passo pesante. Visi di ragazzi sepolti sotto il gigantesco tricorno.

In fila, ci contano, ci ricontano, ci chiamano e ci richiamano. Bisogna farsi una mentalità da pacco postale, in traduzione. Manette, catene. Il carabiniere addetto ai chiavistelli è cattivo stamani. Stringe la manetta stretta stretta. Saranno pasticci per la valigia.

«Avanti, march». Ma non si marcia. Il traffico per abbracciare valigie e sacchi è laborioso. Il brigadiere urla, qualcuno debolmente protesta; nuove urla, spintoni, minacce. «Chi vi insegna a portare questa roba? Vi faccio vedere io. C’è bisogno di tutta questa roba?». Parri ha il viso pallido e le orecchie di bragia. Grida: «Queste cose le dica al “suo”

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