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domestici, mentre una ricerca sistematica in tutte le possibili ville complici veniva ordinata. Il fatto che dopo tanti giorni nessuna notizia dell’arrivo di Turati in terra straniera trapelasse, raddoppiava l’energia poliziesca.

La situazione già grave, si fece insostenibile quando alla muta si unì, vogliamo credere per cieca debolezza, uno pseudo amico del Turati, fornendo indicazioni preziose. V’era di che impazzire. Essere ripresi così, le mani nel sacco, vederlo rientrare a Milano tra le beffe fasciste, accompagnato da tutta la polizzottaglia autorizzata ormai a tutti gli arbitrî, vederlo rinchiudere definitivamente in una casa cui solo i vili e i venduti avrebbeto avuto libero l’accesso, era per tutti noi, era per Turati un incubo. Recandogli un giorno l’annunzio di un nuovo rinvio mi mostrò la rivoltella carica sotto il cuscino e mi avvertì che non si sarebbe lasciato prendere vivo.

Il giovedì 2 dicembre, la polizia era riuscita a stabilire che Albini era scomparso da vari giorni dal suo domicilio. Indagava per sapere dove fosse e se avesse una casa in campagna. Decidemmo un immediato spostamento notturno. Turati fu prelevato all’improvviso, sotto gli occhi stupefatti degli ospiti, e portato con una lunga corsa notturna in un’altra regione. La polizia arrivò poche ore dopo con a capo prefetto, ispettore, amico sicuro della preda. E Albini pagò la delusione con 8 mesi di carcere sopportati in modo esemplare.

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