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lei......» — «Oh, non facciamo parlare i morti», mi replicò dolorosamente.
Tacque. Sospirò ancora ponendosi la mano sul cuore, tanto forte pulsava; poi, con voce rassegnata, decise.
Ci saremmo rivisti alle 21.
Turati era l’uomo politico più popolare d’Italia. L’odio che il dittatore gli portava e che non ha ceduto neppure di fronte alla morte, era per tre quarti dovuto alla segreta invidia che destava in lui la popolarità di Turati, popolarità spontanea, commovente, resistente a tutte le avversità ed a tutte le sconfitte. Quando, per quella disciplina che lo induceva a fare tutto personalmente, scendeva ogni sera a impostare il voluminoso corriere, anche gli avversari si fermavano tra incuriositi e ammirati per segnarselo a dito: «L’è el Turati!» Quante volte salito sul tram, doveva schermirsi dalle dimostrazioni di affetto dei fattorino, del passeggero ignoto che voleva a ogni costo baciargli la mano......
Perciò la fuga di Turati era doppiamente rischiosa. Anche se si fosse riusciti a sortire inosservati dal palazzo sovrastante i portici sempre affollati, rimaneva il problema dell’avvicinamento alla frontiera ormai munita, l’imprevisto dell’incontro, del riconoscimento fortuito.
L’uscita avvenne senza incidenti. Per colmo di precauzione una coppia complice con un giornale spiegato e un cane al guinzaglio diede di cozzo, al momento decisivo, contro due agenti di stazione a uno
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