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La notte successiva, dopo varie vicissitudini, arrivammo in una infima località del fronte aragonese e si iniziava la fantastica vita di accampamento e poi di guerra che spero conoscerai già attraverso le corrispondenze di Calosso in «Giustizia e Libertà». Riuscimmo durante tre giorni ad organizzarci su basi militari, con istruzioni, muli, cucine. Il quarto giorno, occupammo una linea assai importante che immediatamente fortificammo.

Fu questa fortificazione concepita e realizzata con seri criteri militari che ci permise di resistere a un attacco improvviso di una colonna motorizzata, cinque o sei volte superiore e appoggiata da un’autoblindata.

Ecco la mia ferita: dato l’allarme, mi portai sulla trincea; stavo osservando alle prime luci dell’alba la zona antistante quando cominciarono a fioccare le prime pallottole. Sentii un leggerissimo colpo sulla parte destra. Nessun dolore. Scesi in trincea, vidi che perdevo un po’ di sangue, mi recai all’infermeria. Una palla straordinariamente fortunata: entrata e uscita superficiale, nessuna lesione e, straordinario, nessun dolore.

Mentre stavo al posto di medicazione la battaglia sviluppava. Ma tu sapessi come è difficile seguire una battaglia: si spezzetta in mille episodi secondari. Contegno dei nostri straordinario, meraviglioso, come non avrei supposto, nonostante che fossi molto ottimista, il più ottimista di tutti. L’attacco durò quattro ore. Le perdite avversarie furono dieci volte superiori alle nostre. Le nostre tuttavia furono alte, troppo alte.


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