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Fu nostra, fu loro, ora provvisoriamente è inoccupata. Missione: tagliare l’unica grande strada di comunicazione tra Saragozza e Huesca. Nemico a destra e nemico a sinistra. Posizione sandwich, posizione in aria.

Da una superba Buick passiamo a una faticosissima marcia sulle zolle dei campi abbandonati e bruciati dal solleone. La bocca diventa pastosa, i fiati grossi. Ci precede una pattuglia di miliziani seminudi che evolve e si inerpica con una abilità consumata.

Eccoci infine sopra la cresta. Scelta la posizione, precipitiamo al piano in direzione di un’oasi di verde al cui centro sta un piccolo lago. Mi calo nell’acqua con l’orologio e in un successivo tuffo di testa mi slogo una mano contro un tronco d’albero del fondo. Soddisfazione intensa per non essermi rotto la testa.

Sull’imbrunire concentriamo la colonna nei pressi del cimitero di Vicien per un’esperienza con le bombe a mano che sono di modello sconosciuto. Il campanile di Huesca spicca contro le montagne della Sierra Guara, parallela ai Pirenei. Due immensi torrioni di roccia rossa sembrano l’ingresso dell’inferno. A sinistra Almudebar tra le fiamme del tramonto. Pace della campagna che comincia a farsi meno nemica. Orizzonte rosa, viola, livido. E il bombardamento non viene. Finalmente arriva con tre bombe. Due non scoppiano. La terza scoppia, ma pochi hanno potuto rendersi conto del modo col quale va messo l’innesto.

Domattina all’alba andremo in linea, o meglio ci faremo la linea.

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