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A Grañen scendiamo.
Nell’attesa dei camions, ci gettiamo sporchi e gocciolanti sul selciato della stazione. Sono le due, cinquantacinque gradi al sole, acqua non ce n’è, ma polvere in compenso molta, sospesa nell’aria, veicolo dell’altipiano.
Pochi giorni or sono a Parigi pioveva e il termometro segnava quindici gradi. Un bel salto. Qualche compagno soffre, io pure non godo. Ho sempre odiato il caldo e volontariamente mi arruolo in Aragona. Siamo pari, fascisti di casa. Voi l’Abissinia, noi l’Aragona.
Parto in un camion, gremito, avvolto in una nube. Ma due dei tre camions si guastano immediatamente. Metà dei compagni dovranno proseguire a piedi per diciotto chilometri. Noi marceremo la sera, in una direzione vaga.
Attenzione al bivio: Huesca a destra. Vicien a sinistra. A Huesca ci sono i fascisti.
Procediamo lenti, a tentoni, in un alto silenzio. Dove sia il nemico e dove siano gli amici, non sappiamo. Abbiamo caricato il fucile. Una foltissima nube si avanza, carica di fetore. Un gregge.
Ogni tanto guazziamo nell’acqua di un ruscello che attraversa la strada.
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