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e dietro gli occhiali un paio di occhietti vivacissimi che contrastano con la rotondità soave della pancia che la tuta rivela. Con l’elmetto in testa Calosso oscilla tra Sancho Pancia e il vecchio fante. Invece è un Don Chisciotte ironico che sogghigna sulla nostra avventura.

Il pensiero torna a concentrarsi sul suo inevitabile centro, io. Bilancio di dieci anni tra prigioni, deportazioni, evasioni, esilii e lotta clandestina. Ma è naturale, è giusto; è necessario. Dopo aver predicato la necessità dell’intervento, bisogna partecipare in persona prima noi, gli intellettuali, senza domandarci se la nostra attività avrebbe reso meglio altrove. Vale, del resto, più questa esperienza umana e questo sforzo di coerenza di ogni più alta missione politica.

Scivola anche la mia testa sul compagno di destra. Treno, procedi. Esperienza, procedi.

La notte inghiotte anche me.

È l’una. Siamo fermi in una stazione. Una folla enorme, compatta — sono migliaia e migliaia — ha invaso il marciapiede, i binari. Grida, applaude, si arrampica sul vagone. Presto, afferra. Dal finestrino dove sta già un gruzzolo di compagni, penetra ogni ben di Dio. Meloni, cocomeri, pane, prosciutti, salami, vino, formaggi.

— Viva la rivoluzione,

— Viva la Spagna.

— Viva l’Italia.


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