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fuocata Aragona. Racconti di bambini e ricordi di un viaggio lontano da Barcellona a Madrid si intrecciano confusamente. Ora i canti della partenza si sono quietati. Scomparse le ultime luci della metropoli, la notte meridionale ci avvolge mentre il treno sale lentissimo e ansimante. I corpi si rilasciano, le teste penzolano e il sonno lega in pose strane e tra respiri grevi i dieci compagni del compartimento. Magrini, con le coscie larghe e il viso baffuto professorale, dorme sul piccolo Tulli, rincantucciato. Sino a pochi giorni fa Magrini coltivava amorosamente Cézanne, tra riproduzioni e libri. È goffo nella sua tuta grigio polvere. Ma è bella la sua decisione di partire, miope e impacciato com’è. Sfuggirà così al destino filisteo, che sembrava designarlo professore. Anche Ernesto, comunista livornese emigrato a Marsiglia, inesauribile conversatore, pronto alla celia e alla risposta, si è appisolato per mancanza di vittime.
Chi sa se dorme Calosso? Ha voluto viaggiare dentro la Ford, che abbiamo caricato assieme su un carro merci agganciato al treno. Calosso è il nostro grande letterato, paradossale e scintillante nella cultura, nello stile, nell’arguzia. A venti anni dette alle stampe un libro sull’Anarchia di Alfieri, che lo rivelò finissimo critico. Ora siamo all’anarchia di Calosso che ben più pazientemente di Alfieri sopporta le incongruenze in una rivoluzione.
Un testone di capelli irsuti, una fronte bassissima da cui si stacca un nasone doppiato dall’eterna pipa,
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