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(Marx nel 1854-55, nel ’70, nel ’77; Lenin nel 1904) a quale parte fosse meglio augurare e anche facilitare la vittoria.

Sappiamo, a questo punto, l’accusa che si leva a seppellirci. Voi, antifascisti, dopo undici anni di regime fascista, volete la guerra, puntate sulla guerra, perché siete convinti che solo la sconfitta militare sarà capace di abbattere la dittatura feroce che vi opprime. Siete logici come rivoluzionari. Ma i popoli sono stanchi, schiacciati sotto il peso della guerra mondiale e della crisi. I popoli vogliono la pace a tutti i costi. I popoli sono anti-intervenzionisti, sono conservatori. I popoli - intendiamo riferirci alla psicologia francese - preferiranno subire i ricatti hitleriani piuttosto che liquidare oggi una partita che si può rinviare a domani.

Rispondiamo: no. Noi non puntiamo sulla guerra. Se non altro per averla fatta, l’aborriamo con tutte le nostre forze. Se dipendesse da noi, oggi, scegliere tra la rivoluzione a prezzo di una guerra e il perpetuarsi del fascismo coi benefici della pace, non esiteremmo. Ma l’alternativa non si pone. Il fascismo, non l’antifascismo, è la causa del fallimento della pace.

Non puntiamo sulla guerra. Constatiamo che la guerra viene. Non riusciamo a far nostre le illusioni di Henderson e di gran parte della sinistra europea. Sappiamo che per qualche tempo ancora con i procedimenti dei falliti che tentano di procrastinare la di-


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