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La sera del 27 la posizione degli imputati era grandemente migliorata. Ma il 28 mattina l’accusa torna alla carica. Non potendo colpirli su fatti precisi, li rende responsabili di quanto ha fatto, fa, ha detto e dice «Giustizia e Libertà», «questa associazione sovversiva, questo giornale organo di tutti i denigratori dell’Italia all’estero, ecc. ecc.». Qualche giudice avrebbe voluto indulgere.

Ma gli ordini sono gli ordini. Tutti, meno uno, sono condannati, anche Augusto Monti. Cinquantanove anni per sei imputati. Per Giua il procuratore aveva chiesto 24 anni. Il Tribunale li ridusse a 15.

Quindici anni! Lettore, e tu, turista italiano di passaggio che leggi questo piccolo foglio con qualche apprensione, e tu, italiano che lo leggi in Italia di nascosto in edizione lillipuziana, riesci a immaginare che cosa significhino quin-di-ci an-ni di ga-le-ra, per avere amato la libertà? Pensa: alzarsi alle 6, pulire la cella, lavarsi in un catino di coccio infinitesimale, infilarsi la tenuta del carcerato, aspettare una brodaglia nera che chiamasi caffè (da Kaffa, Abissinia), fare i sei passi, andare, e non sempre, all’aria per un’ora che si riduce spesso a mezzora, rientrare in cella, leggiucchiare un libro - uno alla settimana e della biblioteca del carcere -, poi aspettare la spesa: tre lire al giorno; ma chi le ha? -, e un pappone, una minestra orrenda che deve servirti per tutto il giorno, e una forma di pane mal cotto che ti resta nel gozzo, poi - poi -, che cosa fai, carcerato, della tua giornata,


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