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za delle accuse e il contegno fierissimo, diritto, degli accusati.
— Non avete fatto che questo?
— Sì, non ho fatto che questo. Ma sono antifascista. Ma credo nella libertà.
Così, senza pose, senza iattanze.
E allora l’accusa, per tenere in piedi il suo edificio di menzogne o di esagerazioni assurde, precipita nel ridicolo, nel miserabile.
Contesta, ad esempio, ad Augusto Monti, quando i Giua padre e madre furono imprigionati, di essere andato lui a prendere i bambini, di averli accompagnati a scuola.
— Dunque voi solidarizzavate col padre.
Monti non aveva voluto avvocato. Tanto a che serve l’avvocato, al Tribunale Speciale? Si alzò in piedi e disse:
— Certamente l’ho fatto, e me ne onoro. E mi vergogno che in un paese che si vanta di essere civile si possa apporre ad accusa di avere avuto pietà di due ragazzi rimasti soli in casa. Sì, signori: li ho accompagnati a scuola e al cine, e ho rammaricato di non essere più ricco (è povero come Giobbe, Monti), ché li avrei presi in casa e avrei fatto di più per loro.
I giudici - militari, quasi tutti - erano commossi alle lacrime. Così pure il difensore d’ufficio. Nell’aula, veramente «sorda e grigia», era passato un soffio di umanità.
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