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resta che liquidare a buon mercato, con la promessa di un posto nell’ovile, come Bombacci, come Labriola.

Finché noi restiamo, finché noi lottiamo, resta il rimorso, resta la vergogna. Noi siamo la rivincita esterna della sua coscienza, l’interrogativo dell’avvenire.

Che Italia lurida e vile ha in mente il duce, dove il tradimento assurge a imperativo categorico! Il sillogismo ufficiale è questo: «Il duce ha tradito. Ma il duce ha sempre ragione. Dunque tutti possono e debbono tradire impunemente». Ché dove tutti tradiscono, nessuno tradisce.

Se anche pochi, invece, rifiutano, l’unanimità è rotta. La coscienza riprende i suoi diritti. La morale anche. E con la morale la storia. E con la storia la lotta politica.

Il totalitarismo fascista, estremo tentativo di salvezza di una classe finita, si rivela sul terreno morale come alibi di coscienza.

No. Noi non tradiremo. Né ci arrenderemo a discrezione.

Un periodo finisce. Un altro se ne apre. Ma la lotta continua.


Il problema dell’emigrazione politica.

All’uomo che aspira a riassumere in sé l’Italia non difetta solo la grandezza autentica; difetta perfino la capacità di adeguare lo stile al suo effimero successo.

Mentre noi ci sforziamo di dare una serietà e per-


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