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L’Italia del duce.
Ci rivolgiamo ora a lui, al duce. Non è retorico il dialogo. Da lunga pezza sapevamo che ci seguiva con curiosità non scevra di preoccupazione. Ora ce ne fornisce una prova piccola ma significativa.
Che cosa sperava il duce di ricavare dalla nostra morte politica?
Nulla potrebbe ottenere. Nell’ipotesi assurda che noi cadessimo, altri prenderebbe il nostro posto.
Non sente il duce la volgarità estrema di quel suo titolo interpretativo: «Resa a discrezione», che implica resa di italiani ad altri italiani?
L’ideale del duce, nell’ora della vittoria africana e del delirio unanimistico, sarebbe di poter dire che neppure un gruppo di italiani serbò fede nei principii che sospinsero l’umanità nella sua storia: l’Italia a farsi nazione, il proletariato a lottare per emanciparsi, lui stesso a ribellarsi nei suoi giovani anni: fede nella libertà, nella giustizia, nella possibilità per il nostro popolo di riscattarsi e di vivere autonomo e dignitoso, senza duci né tiranni, senza tribunali speciali né grandi feudali dell’industria e della terra, senza censura, senza lustrascarpe accademici e suburra che invade il Palatino.
Quanto pagherebbe il duce per avere anche noi dietro il suo carro, a dire che ci sbagliammo, che i principii per i quali lottammo erano falsi e che ora non
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